Facendo qualche veloce ricerca su internet si possono trovare elenchi e numeri approssimati di chi è stato brutalmente reso schiavo ed assassinato nei campi nazisti: ebrei, rom, disabili, zingari, omosessuali, ecc. Sapevi che oltre all’olocausto esiste anche l’omocausto? Il termine si riferisce alle vittime dei campi che erano (o si presumeva fossero) omosessuali.
Capisco quale sia il significato nel ricordare ognuno i caduti a cui più si sente vicino. Si chiama compassione: dal latino patire con. È umano.
In questo modo abbiamo tanti gruppi diversi che combattono per uno stesso obbiettivo: eliminare la discriminazione. Dividendo i morti in categorie stiamo appiccicando a loro delle etichette, cioè ripetendo – ad un altro livello – lo stesso errore.
Quanto successo in quel periodo è orribile e le vittime all’interno dei campi dubito che facessero distinzioni di razza, sesso o inclinazioni sessuali. Allora che diritto abbiamo di farlo noi? Il modo migliore per ricordare quelle persone è impegnarsi a non discriminare. Punto. A prescindere dalle caratteristiche che differenziano gli esseri umani.
Chi è stato rinchiuso in un campo ci è finito perché diverso da qualcun altro. Ricordare tali differenze non è il modo migliore di rendere giustizia bensì un’ennesima violenza.
La cosa migliore -e, mi rendo conto, utopistica – sarebbe addirittura non sapere quali categorie di persone sono finite nei campi, in modo tale che l’unico modo per definirle sarebbe esseri umani. Degli esseri umani sono stati privati della propria libertà e della propria vita. “Si va bene… ma chi erano queste persone?” “Non lo so. Nessuno lo sa e a nessuno interessa. L’unica cosa che interessa è che erano persone. Per quanto ne so saremmo potuti essere anche io e te”.
Ecco. Questa è vera giustizia.